La Collina

“Abbiamo la Terra non in eredità dai genitori, ma in affitto dai figli.”

Le Origini

Non si hanno notizie precise sull’origine geologica della collina di San Colombano.
Secondo alcuni studi, visto il suo sviluppo longitudinale compreso fra l’alveo del fiume Lambro ed il corso del fiume Po, sembra essere il residuo di un rilievo assai più esteso, eroso lungo i suoi due lati di maggior sviluppo dai corsi d’acqua che lo lambiscono.
Altri studi partono dal ritrovamento di conchiglie marine sul colle; il Prof. Taramelli dell’Università di Pavia (1877), sostiene che è frutto di un movimento tellurico, che l’avrebbe fatta emergere dal mare nell’epoca miocenica (5-20 milioni di anni fa), un’altra ipotesi, del Prof. Stoppani (1857), è che sarebbe emersa in un epoca successiva (2-5 milioni di anni fa) per la natura corallifera dei ritrovamenti, coralli e conchiglie, che ancora oggi vengono alla luce in uno stato di perfetta conservazione durante le lavorazioni agricole del terreno, i cui più importanti esemplari sono conservati nel Museo Paleontologico e Archeologico comunale “Virginio Caccia”.

Visualizza l’opuscolo dei Fossili.

Elementi Naturali

Il rilievo è costituito da argille e calcari pliocenici coperti da alluvioni quaternarie.
Il sottosuolo della collina è ricco di carbonato di calcio, di cloruro di sodio, di iodio, di ossido di ferro, di anidride solforosa e carbonica come testimoniano le acque sorgive di numerose fonti sparse ai piedi della collina.
L’intensa opera di trasformazione svolta dall’uomo nel corso dei millenni, ha radicalmente modificato l’aspetto vegetazionale del territorio del Plis. La copertura forestale che nei secoli doveva caratterizzare il territorio è stata gradualmente sostituita da coltivazioni agricole, vigneti in modo particolare, alcuni insediamenti produttivi e nuclei urbani. La maggior parte di questi boschi presenti si sviluppa in aree esposte a nord, in genere a pendenza elevata, in ambiti non idonei alla coltivazione della vite. Le formazioni forestali sono diversificate sia dal punto di vista fisionomico (molti robinieti, ma anche ontanete, e quercio-castagneti) che floristico (alcune specie sono rare, come il caprifoglio, altre sono protette, come il pungitopo).
Segnaliamo alcuni boschi che esemplificano le principali tipologie forestali che si possono osservare passeggiando tra i sentieri del Plis della Collina di San Colombano.

Boscaglia

Formazioni arbustive con un’altezza media di 5-7 m, dominate da una sola essenza (spesso Cornus sanguinea) a cui si possono accompagnare più specie (ad es. Prunus spinosa, Rubus sp., Sambucus nigra). Lo strato arboreo ha invece una copertura limitata.

Bosco umido

Un’altra interessante tipologia forestale è il bosco umido, di cui citiamo quello situato tra la via dei Boschi e la strada vicinale dei Boschetti, caratterizzato da specie meso-igrofile adattate a vegetare su suoli umidi e ricchi di humus, come Aegopodium podagraria, Ranunculus ficaria ed Equisetum maximum.

Robinieto misto e robinieto puro

Si tratta di boschi dominati dalla robinia, specie molto diffusa nei boschi della Collina di San Colombano.
Nei robinieti misti accanto a Robinia pseudoacacia sono presenti nello strato arboreo altre specie con una copertura consistente (superiore al 20-30%), come Quercus pubescens, Quercus cerris o Quercus petraea.
Nei robinieti puri si ha invece una dominanza assoluta nello strato arboreo di Robinia pseudoacacia; lo strato arbustivo è caratterizzato da poche specie, spesso infestanti, come il rovo, mentre lo strato erbaceo, dove presente, è caratterizzato da piante nitrofile adattate a vegetare su suoli ricchi di nutrienti, come Chelidonium majus, Galium aparine, Urtica dioica, Stellaria media, Ornithogalum umbellatum. Spesso si forma un fitto tappeto di edera che ricopre il suolo, ostacolando la crescita delle specie di sottobosco.

La fauna del Parco

Passeggiando nel Parco è possibile incontrare diversi animali: mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e insetti.

  • Mammiferi: donnola, faina, ghiro, lepre, moscardino, riccio, tasso, toporagno comune, volpe e negli ultimi anni anche cinghiale e capriolo.
  • Uccelli: allocco, balestruccio, civetta, storno nero, ballerina bianca, colombaccio, cornacchia grigia, tortora dal collare, barbagianni, cardellino, cinciallegra, fringuello, cinciarella, cuculo, codibugnolo, codirosso, codirosso spazzacamino, corvo imperiale, lui piccolo, fagiano, gazza, tortora, ghiandaia, gruccione, gufo comune, merlo, pettirosso, picchio verde, scrucciolo, poiana, regolo, rondine, rondone, upupa, usignolo.
  • Rettili: biocco maggiore, lucertola dei muri, natrice dal collare, natrice tassellata, ramarro, vipera comune.
  • Anfibi: tritone, rana comune, rana di Lataste (rana rossa), raganella, rospo comune, rospo smeraldino.
  • Insetti e Farfalle: bombice dell’alianto, cavolaia, cavolaia maggiore, c-bianco, cedronella, macaone, occhio di pavone, podalirio, prete, vanessa dell’ortica, vanessa del cardo, vanessa vulcano. Coleotteri: cervo volante, cetonia dorata. Mantoidei: mantide religiosa. Artropodi: argiope. Libellule: libellula cianea.
Fauna PLIS
Fauna PLIS
Fauna PLIS

Il bosco della Moccia

Nell’ambito della Collina di San Colombano il bosco della Moccia è il querco-carpineto più ampio, meglio conservato e a più alta biodiversità floristica. Esso è distribuito lungo il versante esposto a nord che parte da Moccia fino alla fine di Via della Capra.
Si tratta di un bosco collinare caratterizzato in alcune zone da querce come la farnia (Quercus robur) o la rovere (Q.petraea) e da carpini bianchi (Carpinus betulus), mentre in altre da castagni (Castanea sativa) e robinie (Robinia pseudacacia).
Si segnalano inoltre specie erbacee di pregio, tra cui Convallaria majalis, Lilium bulbiferum e Anemone nemorosa, protette dalla L.R. 33/77, e l’arbusto Ruscus aculeatus, incluso nell’allegato V della Direttiva Habitat 92/43.
Inoltre sono presenti diverse specie caratteristiche dei querco-carpineti, quali Carex pilosa, Vinca minor, Lonicera caprifolium, Doronicum pardalianches, Tamus communis, Pulmonaria officinalis, Geranium nodosum, Crataegus monogyna.

Il bosco di Graffignana

Nella parte nord-occidentale del Plis, nel territorio del comune di Graffignana, si sono conservati alcuni ettari di bosco semi-naturale che si presenta assai diverso per composizione floristica dai boschi ripariali che sorgono lungo il corso dei fiumi.

Parecchie aree del bosco sono occupate da castagneto ceduo anche se da parecchi anni la pratica della ceduazione, come pure la raccolta delle castagne, non viene più praticata.
Il castagneto ceduo dava i pali di sostegno per la viticoltura molto diffusa fino a qualche decennio fa. Essendo una viticoltura di collina, aveva adottato come sostegno il sostegno morto; i tralci sospesi orizzontalmente venivano legati a pali e paletti di castagno.
La parte del bosco non occupate dal ceduo sono popolate principalmente dalla Farnia, la specie di Quercia caratteristica anche dei boschi planiziali più secchi, e da isolati esempi di Rovere, meno comune in pianura e più frequente al contrario sull’Appennino e nei boschi a latifoglie delle Prealpi; invece le essenze arboree a legno tenero come Salici e Pioppi, amanti dei terreni freschi ed umidi, sono presenti in basso numero e generalmente ai margini della formazione boschiva.
La Flora. Il sottobosco delle zone più interne e più ombrose del Bosco di Graffignana presenta una flora tipica dei boschi naturali meglio conservati, annoverando la presenza di Anemone dei boschi, Pervinca, Viole di diverse specie, Pulmonaria, Edera, Mughetto e Asaro; anche l’abbondante presenza di diverse specie di Felci, elementi tipici dei querceti e dei castagneti.
Il Bosco di Graffignana costituisce un patrimonio naturale di grande valore per il Lodigiano e per la Regione, rappresentando l’unica testimonianza di bosco termofilo in bassa pianura in cui veniva praticata, in parcelle, la coltivazione a ceduo del castagno.
La Fauna. Sono poco presenti specie di vertebrati e invertebrati tipiche dell’ambiente umido, per il fatto che, nel Bosco di Graffignana, è presente un solo piccolo stagno.
I vertebrati più rappresentati sono senza dubbio gli uccelli, con specie stanziali (Passero, Merlo, Cinciallegra, Scricciolo), specie nidificanti estive e migratrici (Usignolo e Capinera) e specie di passo e svernanti (Tordi e Pettirossi).
Fra i mammiferi non mancano i carnivori, come la Donnola, il Tasso e la Volpe; è segnalata anche la presenza dello Scoiattolo.

L’Oasi Protetta

L’Oasi protetta, è un territorio di circa 250 ettari, situato nella parte più a est del Parco, nel comune di San Colombano, un territorio ben delimitato: a nord dal paese di San Colombano, a ovest dalle strade collinari della Collada e del Belfuggito, a sud dalla ex statale 234 Codognese (Mantovana) e a est dalla strada provinciale 23.
L’oasi protetta del Parco di San Colombano è stata costituita negli anni cinquanta per tutelare l’habitat nelle sue molteplici manifestazioni e preservane la straordinaria ricchezza di vita, un territorio da più di 60 anni, chiuso ad ogni tipo di attività venatoria.
Tutte le Oasi che sono presenti nelle regioni italiane rappresentano un sistema di aree protette complesso e articolato che funge da rifugio, luogo di riproduzione e corridoio ecologico per gli animali selvatici. L’Oasi protetta del Parco della Collina di San Colombano é poco distante da altre due oasi, quella delle Monticchie, a sud nel comune di Somaglia (LO), e quella di S. Alessio a ovest, nel comune di S.Alessio con Vialone (PV).

Flora e fauna dell’ Oasi

Come tutto il territorio del Parco, anche la vegetazione naturale dell’Oasi, nel corso del tempo è stata sostituita da un tipico paesaggio agrario viticolo, mentre in alcuni ambiti si è diffusa la robinia introdotta da un paio di secoli. Caratteristica è anche la presenza di noce, rovere, roverella, olmo, carpino, ontano e salici.
I numerosi valloni presentano una vegetazione particolare costituita da arbusti: biancospino, prugnolo spinoso, sambuco, ligustro, sanguinello, saggina, rosa canina, ginestra. Nei pressi delle strade vicinali dei Valloni, e di Val del Coppe esistono delle zone umide con presenza di sorgive che favoriscono lo sviluppo di canneti e altra vegetazione palustre.
Il Parco in generale e l’Oasi in particolare rappresentano l’habitat ideale per mammiferi, uccelli, insetti, anfibi e rettili.
La collina è un importante corridoio di migrazione per numerosi uccelli per la presenza di termiche, correnti ascensionali di aria calda che salgono dal suolo e che, fungendo da ascensore naturale, permettono agli uccelli di salire di quota veleggiando. Tra gli uccelli migratori si possono osservare falchi pecchiaioli, cicogne, gru e oche selvatiche. E’ anche luogo di spostamento per molti uccelli acquatici dai rivi irrigui verso i fiumi Po e Lambro.
L’ Oasi è un habitat ideale per uccelli svernanti e nidificanti; fra quest’ultimi: gheppio, poiana, gruccione, colombaccio, cuculo, barbagianni, allocco, picchio verde, picchio rosso maggiore, civetta, ballerina gialla, averla piccola, upupa, usignolo, merlo; tra le specie svernanti: gufo comune, taccola, corvo, cesena, pettirosso, cinciallegra, cinciarella, capinera, codirosso spazzacamino. Il gruppo di Unità di Conservazione della Biodiversità dell’Università degli Studi di Milano Bicocca nel 2005, ha censito 43 specie di uccelli svernanti e 56 nidificanti cui vanno aggiunte numerose specie di passo per le quali ,’Oasi del Parco della Collina di San Colombano costituisce una preziosa area di sosta.

Lista completa uccelli

Inoltre nell’Oasi è numerosa la presenza di diverse specie di mammiferi, in relazione anche ai diversi ecosistemi presenti. Si segnalano: riccio europeo, talpa, toporagno comune, lepre, moscardino, mustiolo, arvicola, topo selvatico, volpe, donnola, faina, ghiro, tasso, scoiattolo rosso.
Numerosa e variegata anche la presenza di rettili: biacco, natrice dal collare, natrice tassellata, ramarro, lucertola dei muri e di anfibi: tritone, rana comune, rana di Lataste (rana rossa), raganella, rospo comune, rospo smeraldino.
Tra i numerosi insetti notevole la presenza di libellule, farfalle, lucciole e insetti pronubi come api e bombi testimonianza di un ambiente parzialmente antropizzato che ha mantenuto il suo aspetto naturale e immutato negli ultimi 80 anni.

Per scoprire di più, visita il sito La collina degli Anfibi.

La Viticoltura

Panorama in collina

Anche se molto probabilmente furono i Romani a piantare le prime viti, una leggenda, solo orale, lega l’inizio della coltivazione o quantomeno una sua intensificazione, al Santo Colombano, il monaco irlandese che all’inizio del VI sec. giunse in Italia, per incontrare il re longobardo Agilulfo, durante il quale riceve in dono dalla Regina Teodolinda il sito di Bobbio a 30 miglia da Piacenza dove costruisce il suo ultimo monastero e nella discesa da Milano, lungo il Lambro per raggiungere la Val Trebbia, sia passato dalla nostra collina a cristianizzare i suoi abitanti e ad insegnare loro la coltivazione della vite.

I primi documenti che menzionano la presenza di vigne sono però, della fine del primo millennio.

Un impulso per bonificare e mettere a coltura i terreni collinare viene dato dai provvedimenti politici ed economici adottati dai Visconti nel XIV secolo.

Nel XVII secolo ormai la vite costituisce il fulcro dell’economia locale.
Fino circa alla metà dell’ottocento la vite era presente in tutte le regioni agrarie della Lombardia con una notevole varietà di tipi, intervallata alle colture tipiche della pianura. L’importanza del vino nel regime alimentare delle famiglie contadine era infatti così rilevante da indurre a praticare la viticoltura, anche in pianura, senza preoccupazioni circa la sua maggiore o minore convenienza economica ed agronomica.
Si usava il vino per ” purgare” l’acqua dei pozzi, che soprattutto d’estate era spesso causa di infezioni intestinali. Si beveva molto vino, per quanto scadente, per non avere mal di pancia, per combattere il freddo e per aiutare la digestione di quella monotona pappa di cereali che costituiva il piatto forte del contadino medioevale.”
Le caratteristiche ambientali della collina di San Colombano, permettevano però, di produrre un vino qualitativamente migliore. Un rapporto (28 aprile 1802) dell’Autorità di tutela della Repubblica Italiana, riporta che: … “in passato” i vini della collina di San Colombano erano “ricercatissimi per naturalezza e bontà”, avevano “un credito incredibile”, si vendevano ad esercenti e privati anche lontani; la produzione più scarsa era la migliore; col rialzo dei prezzi, proprio di quel tempo, tutta la collina fu ridotta a vigneto…”.
Nel XIX secolo la vite era coltivata in ” ronco spesso” e la collina di San Colombano, coltivata esclusivamente a viti, veniva denominata “Ronco”; i suoi vini erano conosciuti in tutta la Lombardia e negli stati limitrofi.
“I Colli di San Colombano sono amenissimi. Situati in una grandissima pianura e affatto disgiunti da altri luoghi eminenti, ci presentano queste alture da ogni parte vedute, brillanti e graziose”.
Con queste parole il conte milanese Carlo Verri descriveva la Collina di San Colombano sulla quale si sofferma lungamente nei suoi “Discorsi intorno al vino e alla vite” (1824), una realtà che non riguardava soltanto le bellezze paesaggistiche ma, soprattutto, la qualità dell’uva e del vino prodotti. Nei discorsi del conte Verri intorno al vino e alla vite, viene descritta la coltivazione in collina: ” Sui colli di San Colombano si contano venti e più specie o varietà d’uve. Queste uve generalmente parlando, abbondano di sostanza zuccherina…. E’ ammirabile l’arte con la quale si forza su questi colli la vite a dare maggiore prodotto. Con gli ingrassi, coi diversi lavori della terra, si cerca di porgere alla vite il maggiore nutrimento onde averne il maggiore raccolto possibile … Un risultato raggiunto grazie all’abilità e capacità dei vignaioli locali per i quali la coltura della vite, sempre secondo il Verri, aveva raggiunto “l’apice della perfezione”.
“ Teatro di operosità intelligente, di bravi agricoltori che hanno fatto della vite e dei fruttiferi la loro passione e la loro fede” dirà S. E. Arturo Marescalchi (16 aprile 1933). L’Onorevole, Professore Arturo Marescalchi era il sottosegretario al Ministero dell’Agricoltura e Foreste che su invito della Cattedra Ambulante di Agricoltura per la Provincia di Milano aveva presieduto l’inaugurazione della 2° Mostra di Uve da Tavola tenutasi il 20 settembre 1931 a San Colombano.
Caratteristica della Collina di San Colombano è un’alta parcellizzazione, segno di un territorio ambito per la ricchezza e la qualità dei suoi prodotti, uva e vino in modo particolare e anche il risultato di secoli di divisione ereditaria, che ha visto spezzettare, polverizzare il vigneto aziendale, fra tutti gli eredi della famiglia contadina.
Così, il territorio collinare era caratterizzato fino a qualche decennio fa, dalla presenza di tante piccole aziende: viticoltori, vignaioli che ci hanno insegnato rispetto e dedizione per un patrimonio ambientale, per una attività agricola che aveva bisogno di essere valorizzata ricercando la qualità, la tipicità, un buon legame fra il prodotto e il territorio, traguardo raggiunto:

  • nel 1984 con il riconoscimento di zona a DOC (Denominazione d’Origine Controllata) per la produzione del San Colombano Rosso, prodotto con le uve rosse, Barbera, Croatina e Uva Rara, coltivazione eredata dai nostri padri,
  • nel 1995 con il riconoscimento di zona ad IGT (Indicazione Geografica Tipica) Collina del Milanese, per poter valorizzare tutti i vitigni coltivati, in modo particolare “la Verdea”, un vitigno a bacca bianca autoctono, parte importante della storia enoica della Collina,
  • nel 2002 con la modifica del disciplinare di produzione del DOC San Colombano con l’introduzione delle tipologie Rosso frizzante e Rosso Riserva, quest’ultimo deve portare il nome della Vigna da cui proviene, “il cru”, “il podere” e va commercializzato dopo un invecchiamento in botti di legno, e la tipologia San Colombano Bianco, prodotto con Chardonnay e Pinot Nero, vitigni introdotti negli ultimi decenni.

Le uve coltivate

Da trent’anni sulla Collina di San Colombano sono stati introdotti anche vitigni internazionali, lo Chardonnay e i Pinot, Bianco e Rosso, il Sauvigon, il Merlot, i Cabernet Franc e Sauvignon.
Oggi le uve più coltivate sono le uve rosse dedicate alla produzione del Doc San Colombano, la Croatina e la Barbera, con alte percentuali e l’Uva Rara (in loco chiamata anche Bonarda), altre uve rosse coltivare sono il Merlot, il Cabernet Sauvugnon, il Pinot Nero. Le uve bianche più coltivate sono quelle per la produzione del Doc Bianco: lo Chardonnay, il Pinot Bianco, il Pinot Nero (vinificato in bianco), altre uve bianche coltivate sono il Trebbiano, il Sauvignon, la Malvasia di Candia aromatica, il Riesling Italico e Renano e la tipica Verdea. Più della metà della superficie coltivata è stata reimpiantata all’inizio del terzo millennio, quando i vecchi vigneti hanno subito la distruzione dell’ultimo flagello, la flavescenza dorata; sono stati reimpiantati con il sistema a guyot e con fittezze d’impianto medio alte, 4000-5000 piante ettaro, una scelta fatta per migliorare la qualità dei vini.

Strada in collina

Le piante da frutto

Le ciliegie e i fichi

La caratteristica socio economica delle aziende agricole del territorio del Parco, era la piccola dimensione, quasi tutte a conduzione famigliare; per integrare il reddito che derivava dalla vendita delle uve a settembre, la vendita del vino nuovo ad inizio primavera, i viticoltori, soprattutto quelli della parte est del Parco, del Comune di San Colombano, avevano introdotto la coltivazione delle ciliegie, che raccoglievano e vendevano da maggio a giugno avendo piantato diverse qualità a maturazione progressiva e la coltivazione dei fichi che raccoglievano ad agosto. La coltivazione delle ciliege e dei fichi, non era una coltivazione specializzata in frutteti veri e propri, ma i ciliegi e i fichi venivano intervallati nei filari di vite, piante , soprattutto i ciliegi, che diventavano molto grandi dalle quali riuscivano a raccogliere alcuni quintali di frutti. In primavera, con i ciliegi in fiore, la collina sembrava addobbata da tante palle di neve.
Oggi con una diffusa viticoltura professionale di grosse aziende, predisposta per la meccanizzazione, il ciliegio e il fico non sono stati più piantati; qualche pianta è stata messa a dimora negli spazi marginali dei vigneti; nel 1983 in alta collina, in località Baracca, è stato messo a dimora il primo ciliegeto, esempio seguito da altri agricoltori. Nel periodo della raccolta, nei mesi di maggio e giugno, è possibile trovare punti vendita direttamente in collina. Fino a metà secolo scorso, nel mese di agosto, nel comune di San Colombano, si teneva un mercato dei fichi; i contadini scendevano di buon mattino dalla Collada con i cestini ricolmi di fichi e vicino le mura del castello Belgioioso di San Colombano, erano attesi dai compratori. Fino a qualche decennio fa, alcuni cesti di ciliegie e di fichi venivano ancora raccolti e venduti ai venditori di frutta ambulanti. Oggi il fico è una pianta che caratterizza il panorama della collina, il cui frutto non è più raccolto per essere commercializzato.

I piselli

Se un secolo fa, i viticoltori della parte Est del Parco, del Comune di San Colombano, puntarono sulla coltivazione di piante da frutto, il ciliegio e il fico, per integrare il loro reddito, i viticoltori della parte ovest, del comune di Miradolo, puntarono sulla coltivazione del pisello; coltivato nelle zone di media e bassa collina, in terreni sciolti e con buona esposizione, veniva prodotto un pisello prelibato e gustoso, considerato per la precocità, una vera primizia molto ricercata nei mercati ortofrutticoli di Milano e Pavia.
L’area coltivata si è di molto ridotta negli anni; oggi si può dire che la produzione più diffusa è rimasta quella negli orti, piccole quantità ad uso famigliare.

 

Realtà socio-produttive

Oggi la coltivazione e la produzione del vino è portata avanti da un gruppo di aziende, quasi tutte associate nel Consorzio di Tutela del Vino Doc San Colombano, che si sono attrezzate e organizzate puntando sulla qualità presentando i loro vini per buona parte in bottiglia, vini fermi, frizzanti, invecchiati in botti di legno o piccoli carati, vini spumanti, anche del metodo classico, segno della professionalità raggiunta. Alcune aziende, per motivi strutturali e organizzativi, cessata o ridotta la trasformazione, continuano la loro attività come produttori di uve che cedono alle aziende più grandi.
Accanto a queste aziende, molti piccoli appassionati vignaioli, pur avendo scelto un’attività diversa da quella dei loro padri, continuano la coltivazione di piccoli vigneti ereditati o acquistati e producono vini per un consumo famigliare.
La ricerca della qualità ha portato negli ultimi decenni, a mantenere a vigneto le zone più predisposte, soprattutto quelle a sud, ed all’abbandono di alcune zone collinari che per caratteristiche, esposizione, eccessive pendenze, sono meno vocate e sono diventate aree a verde, prati o boschi spontanei di robinia.
Il Consorzio di tutela del Vino Doc San Colombano e le sue aziende sono stati parte importante per l’istituzione, nell’aprile 2001, della “Strada del vino di San Colombano e dei sapori lodigiani”. L’itinerario parte da Milano e, toccando Chiaravalle, Sant’Angelo Lodigiano, il Plis della Collina di San Colombano e le sue cantine, giunge alla fine a Lodi. Esso attraversa un territorio dove insigni monumenti, ristoranti tipici, enoteche, cantine, ville storiche allietano il visitatore.

Vigneto Sperimentale Moretto

Il vigneto sperimentale Moretto è un terreno di proprietà del Comune di San Colombano, da 40 anni usato per sperimentazioni viticole.

L’esigenza di analizzare la coltivazione della vite e i vini prodotti per mettere in evidenza le potenzialità vitivinicole della collina accompagna da quasi un secolo la storia del prodotto tipico del Plis.

Un primo studio su alcuni vitigni di pregio della Collina di San Colombano è stato fatto nel 1934.
Vinificati in purezza, piccole quantità di uve scelte fra i vitigni che per sviluppo, epoca di introduzione e bontà di risultati, si consideravano classici per la Collina di San Colombano: la Barbera (che da sola occupava il 30% della produzione totale), l’Uva Rara o Bonarda (12%) e la Freisa che, per quanto riguarda la diffusione, presentava sempre una notevole importanza agli effetti delle possibilità locali, i vini prodotti sono stati fatti analizzare della Regia Stazione Enologica Sperimentale di Asti. Le analisi conclusive, riportano un giudizio favorevolissimo per il contenuto in alcool (notevole è l’accenno ad una percentuale elevata di zuccheri residui) per il complesso delle caratteristiche orgonolettiche, che valgono a collocare i vini analizzati, all’altezza dei migliori vini italiani.
I risultati dello studio sono stati raccolti in un opuscolo pubblicato nel febbraio 1935, dalla Cattedra Ambulante di Agricoltura per la Provincia di Milano e scritto da F. Giovanelli e A. Arata, opuscolo messo a disposizione di tutti gli agricoltori della Provincia. Un documento estremamente importante che mette in evidenza le potenzialità vitivinicole della collina con una reale possibilità di produrre vini di classe, anzi di una classe molto elevata se si riuscirà a migliorare la professionalità degli addetti seguendo le nuove indicazione scientifiche.
Nel 1950 inizia una stretta collaborazione tra l’Istituto di Coltivazioni Arboree della Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Milano e il Comune di San Colombano per dare un impulso al progresso vitivinicolo, grazie alla sensibilità e disponibilità del prof. F. Lalatta.
Nel 1975, la collaborazione tecnico-scientifica tra l’Università di Milano e la realtà viticola di San Colombano, si concretizza con l’impianto di un vigneto sperimentale in località “Moretto” di proprietà dell’Amministrazione Comunale, sperimentazione affidata e seguita dal prof. Marro. Scopo principale del lavoro di ricerca è la resistenza alle malattie e l’adattabilità di cloni e portainnesti diversi di vitigni tipici per la collina di San Colombano: Barbera, Uva Rara , Croatina e Cortese.
Per rispondere ai crescenti interessi verso le innovazioni agronomiche nella gestione dei vigneti, nel 1989 viene deciso il reimpianto del vigneto sperimentale “Moretto”, indicando nella persona del Dott. L. Valenti dell’Istituto di Coltivazioni Arboree dell’Università di Milano, il responsabile della ricerca; dal 1992 al 2002 si sono effettuati, diversi lavori sperimentali, finanziati dalla C.C.I.A.A. di Milano e dal Comune di San Colombano. Lo scopo principale è quello di favorire un miglioramento professionale dei viticoltori locali mettendo a disposizione ricerche sulle condizioni ottimali di fittezza di impianto, del tipo di allevamento, della carica ottimale di gemme, sull’adattabilità clonale del Pinot Nero, del tipo di potatura verde, sul diradamento dei grappoli, sulla meccanizzazione delle varie operazioni colturali, in particolare della potatura, sulla modernizzazione dello sviluppo dei tralci, sulla lotta antiparassitaria e l’inerbimento del vigneto
Oltre alla pianificazione della sperimentazione ed alla divulgazione dei risultati ottenuti, l’attività è stata rivolta anche all’organizzazione di corsi di aggiornamento rivolti agli operatori del settore.
Tutti i lavori della sperimentazione sono stati raccolti in una pubblicazione: “Il Vigneto Moretto”. Grazie all’intervento della Camera di Commercio I.A.A. di Milano e all’impegno del Comune di San Colombano, si avvia nella primavera 2005 un nuovo progetto del Vigneto Sperimentale Moretto.
La novità è che in questo progetto, ideato e condotto dal Dipartimento di Produzioni Vegetali dell’Università di Milano, nella persona del Prof. Leonardo Valenti, assume un ruolo importante il Consorzio Volontario Vini DOC San Colombano. Dalla proficua collaborazione, nasce un Vigneto per essere sede di studi, ma anche fucina di idee e laboratorio all’aperto, che vuole divenire punto di incontro, non solo virtuale ma anche fisico, tra ricerca, sperimentazione, tecniche viticole d’avanguardia e produttori.
E’ stato progettato e impiantato per verificare l’influenza della distanza tra i filari sui parametri qualitativi di uve di varietà tipiche e relativi loro vini (prova “parete”), per confrontare diversi cloni di Barbera e Croatina a diverse fittezze di impianto (prova “confronto cloni e varietà”), per verificare l’influenza di diversi criteri di irrigazione a goccia, in confronto con la non irrigazione (prova “irrigazione”).
Il vigneto è stato impiantato, ed è in produzione, la sperimentazione è stata interrotta per la mancanza di finanziamenti.
Il Vigneto sperimentale Moretto è comunque a disposizione dei produttori per corsi di aggiornamento in vigna, per verificare i parametri scopo della sperimentazione e per le scuole locali e non solo.

Città del Vino

L’Associazione Nazionale “Città del Vino”, nasce il 21 marzo 1987 a Siena, dall’idea di 39 Sindaci, l’indomani della scandalo del vino al metanolo, per sostenere il valore culturale, ambientale dei molti territori a tradizione viticola, per rendere sempre più forte il rapporto tra vino e territorio, un rapporto che da peculiarità e unicità del vino.
L’obiettivo dell’Associazione è quello di aiutare i Comuni a sviluppare intorno al vino, ai prodotti locali ed enogastronomici, tutte quelle attività e quei progetti che permettono una migliore qualità della vita, una difesa e valorizzazione della tradizione vitivinicola; qualità della vita, paesaggi e ambienti ben conservati, qualità del vino e dei prodotti tipici, unite ad una maggiore capacità ricettiva, possono fare dei territori del vino vere mete turistiche.
L’Associazione non ha fini di lucro ed opera per difendere e sviluppare la qualità delle produzioni ed dei territori delle Città del Vino, tramite iniziative e servizi nel campo della tutela, della promozione e dell’informazione.
I Comuni partecipanti devono avere una particolare vocazione agricola resa importante e peculiare dalla produzione di vini a Docg, Doc e Igt, vini di buon pregio, con tradizione enologica connessa a valori ambientali, storici, culturali ed economici. Le finalità di valorizzazione del vino nel suo territorio di produzione, devono corrispondere alle esigenze di sviluppo economico e turistico del comune stesso.
Vista la particolare tradizione e vocazione agricola del Plis della Collina di San Colombano, riconosciuto dal 1984, come territorio di produzione di un vino a Doc, una tradizione vitivinicola dalla storia millenaria, e viste le scelte di salvaguardia fatte dalle Amministrazioni locali per difendere e valorizzare il loro patrimonio ambientale ed agricolo e sviluppare un turismo enogastronomico, caratteristiche e finalità che sono gli obbiettivi sostenuti dall’Associazione Città del Vino, i comuni del Plis più rappresentativi, con più superficie a vigneto, hanno scelto di far parte dell’Associazione: il Comune di San Colombano nel 1999, il comune di Miradolo Terme nel 2004 e quello di Graffignana nel 2006.

Per la visualizzazione del sito: Città del Vino.

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